Primi giorni a Dacca

 Siamo arrivati in Bangladesh venerdì mattina, l'impatto con l'aeroporto è sempre forte: si arriva dallo scalo  di Doha in cui si possono ammirare giardini, marmi e grandi vetrate a quello internazionale di Dacca, dove al massimo si trova un piccolo duty-free che vende giusto qualche bottiglia di alcolici. Le pratiche per fare il visto in entrata sono curiose, un ragazzo che lavora lì ci ha aiutato, traducendo in bengalese, grandi sorrisi e poi ci ha abbandonato per andare a fare un giretto non specificato. Ci siamo districati tra le scritte fino a comprendere che la nostra uscita per il controllo dei passaporti è quella riservata ai diplomatici. Abbiamo passato una buona oretta ad attendere i bagagli, sul nastro trasportatore è possibile osservare una grandissima quantità di scatoloni contenenti (forse) friggitrici ad aria,  trapani, vestiti, biscotti di marchi occidentali. E' curiosa la scelta che i bengalesi compiono quando rientrano a casa dai luoghi in cui vivono, se scambi qualche parola con loro scopri che hanno girato un po' tutta l'Europa prima di fermarsi in un determinato posto. 

E' un popolo accogliente quello bengalese, sono tutti piuttosto incuriositi dalla nostra presenza: due donne occidentali e un uomo bianco, dai capelli rossi.

Alla fine tra una pratica e l'altra siamo riusciti ad arrivare a casa di Gaetano e Denise verso mezzogiorno.

Gaetano e Denise, una parte di famiglia che ho ereditato dopo la morte dello zio. Sono industriali del tessile, che negli anni hanno finanziato moltissimo i progetti con i tokai e che ora hanno adottato una piccola comunità di ragazze: sono cinque, vivono in un appartamento e stanno ultimando gli studi. Una di loro, Farzana, si è laureata in infermeristica lo scorso anno e ha avuto modo di fare pratica con le equipe italiane che si recano a Khulna, nell'ospedale gestito dai saveriani, per curare gratuitamente le persone del posto. Ma dell'ospedale vi parlerò nei prossimi giorni, quando andremo a visitarlo.

Farzana e le altre ragazze le abbiamo incontrate ieri sera a cena, hanno creato un piccolo business di braccialetti fatti da loro, che ci hanno mostrato con orgoglio e noi le abbiamo rinforzate comprando un po' di regalino da portare a casa. 

Con loro vive anche Sara, una bambina che ora ha otto anni, è stata una delle ultime tokai addottate dallo zio Riccardo ed è stata fin da subito la sua pupilla. E' stata trovata che aveva circa un anno, forse un anno e mezzo, presentava sul corpo ferite e bruciature di sigaretta procuratele forse dalla madre, forse dagli uomini con i quali si prostituiva. Sara ha vissuto a Noluakuri fino al 2023. Quando l'ho incontrata la prima volta aveva circa quattro anni, parlava poco, si comportava come una bambina molto più piccola della sua età. Ieri sera l'ho ritrovata molto più tranquilla, sorridente, mi ha parlato un po' in inglese mostrando con orgoglio i progressi fatti nel corso dei due anni scolastici.

Abbiamo lasciato Dacca questa mattina alle sei per dirigerci a Khulna, lì ci aspettano i tokai del centro diurno e quelli di una casa residenziale.

Mi sento sollevata all'idea di lasciare Dacca, è molto faticoso rimanere nella capitale per me. Con i suoi 36 milioni di abitanti è una delle città più inquinate del pianeta, la coltre di smog impedisce di percepire se ci sia o meno il sole, il caldo è soffocante e i clacson delle auto non si fermano nemmeno di notte. Il traffico è un elemento da tenere in costante considerazione quando si decide di programmare qualcosa: sbagliare di qualche minuto la partenza potrebbe significare che per percorrere un paio di chilometri ci si impiegheranno ore. Non esiste una reale segnaletica stradale, non esistono precedenze: i clacson sembrano essere l'unico linguaggio possibile tra gli svariati mezzi (auto, moto, biciclette, tre-ruote, carri, autobus, risciò).

Evita


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