Di fiori e manguste
Khulna.
Io mi sento molto bene qui, la città è infinitamente più piccola della capitale e mantiene quei tratti tipici del Bangladesh. I risciò dai multicolori che sfrecciano tra la strade, i tre ruote con disegni sgargianti, le mucche che camminano sui marciapiedi come bravi pedoni. Le mucche sono molto magre, rubacchiano qualcosa dalle ciotole dei venditori ambulanti di cibo. Qui in qualche modo tutti imparano a sopravvivere.
La casa dei saveriani è circondata da un grande giardino molto curato. Ho visto subito due manguste. Le manguste, simbolo della presenza dello zio, memorie dei racconti di quando ero bambina.
Riccardo amava raccontarmi la storia della sua mangusta addomesticata, che lo aiutava a proteggersi dai serpenti quando viveva nei piccoli villaggi. C'è una sua foto, giovane e bellissimo, con la sua mangusta accanto al viso.
Io non sono credente, ma la spiritualità si respira in ogni angolo. I saveriani hanno storie incredibili di dedizione. Fare del mondo un'unica grande famiglia. Rifletto spesso su questa frase, cerco di metterla anche io alla base della mia intenzione educativa, la famiglia come non luogo in cui c'è posto per tutti, un luogo sicuro che è palestra di relazione e di crescita.
In effetti io con i saveriani mi sento sempre a casa, in famiglia.
Ieri padre Lupi, che ha 78 anni, con il suo fare ironico ha dichiarato di essere pronto a morire, non perchè lo desideri ma perchè è pienamente soddisfatto di quanto fatto. Gli ho chiesto di attendere, non sono pronta a lasciar andare anche lui. La vita si snoda per strani percorsi, ci sono persone che incontriamo solo più avanti negli anni eppure sembra che siano lì da sempre. Quanti doni che Riccardo mi ha fatto. Quanto è doloroso non poterlo ringraziare sprofondando il volto nella sua barba che odora di tabacco.
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