La fine di un'agonia
Come tradizione, allo scoccare delle ferie, mi ammalo.
Martedì inizia a venirmi la febbre, mercoledì sto male, giovedì partiamo.
Quando non sto bene ho bisogno di spegnere il mondo e mettermi a letto, invece questa volta mi imbarco per l'altro capo del mondo. Ho dovuto diverse volte, non lo nego, ripetermi perché lo stessi facendo. Ho sperato, confesso, di non dover dar ragione a mia madre, la quale mi suggeriva di posticipare il volo.
Alla febbre si unisce mal di gola e tosse: mi trascino tra gli aeroporti, comunico a versi e cenni del capo, sogno il mio letto caldo. Voglio tornare indietro nel tempo e rispondere a Noemi, che ci ha accompagnato in aeroporto, che si, ritorno a casa con lei.
Ma ormai siamo arrivati, è venerdì. Il nostro itinerario è stato riprogrammato per concedermi uno o due giorni di riposo. Denise e Gaetano ci accolgono nella loro reggia. Il jet lag mi disorienta, riposo ma non dormo. Prendo tutti i farmaci che non ho preso nella mia vita, delego a Evita la posologia dei miei cocktail. Nella notte l'angoscia mi pervade, faccio degli incubi in cui ogni mio già vago progetto di vita affonda e di me non rimane che un relitto, spiaggiato ai bordi di una strada.
Eppure questa onirica proiezione è realtà quotidiana per mucchi di milioni di persone qui in Bangladesh.
Ci muoviamo per la città scortati dentro delle auto per spostarci, prima per il 3D shop da cui acquisteremo i materiali se tutto andrà a bene, e poi per giungere alla casa dei saveriani di Dacca.
Ho bisogno di riconnettermi con ciò che sto facendo. A sera, chiedo di fare due passi per la strada per respirare l'aria inquinata di Dacca, così insalubre, così autentica. Facendo lo slalom tra i buchi nel marciapiede per il rifacimento della strada, mi fermo davanti a una locandina: il 19 e il 20 dicembre a Dacca ci sarà l'Al-Kwharizmi science fest. Sorrido. In dodici anni di tatuaggio col nome del matematico persiano che introdusse lo zero in Occidente, mi è capitato tre o quattro volte di incrociarlo. Due volte nell'ultimo mese: la prima ad Agape il mese scorso, nell'attività introduttiva al campo di formazione, e la seconda qui, quando ho bisogno di riconnettermi con ciò che sto facendo.
Un'altra notte quasi in bianco qui a Dacca, ma sento di star guarendo. Partiamo per Khulna, quattro ore di sorpassi selvaggi, e arriviamo alla casa dei saveriani. Pier Lupi sempre con noi, il Virgilio dei questi curiosi naviganti.
Sento che questa coltre di angoscia si sta schiarendo. Non ho più la febbre da ieri, ma ora posso tossire senza patire. Saliamo su un risciò e ci immergiamo nel traffico di Khulna facendo i peli a tutto ciò che si muove.
Sorrido guarito, mi sono riconnesso: so cosa sto facendo qui; entriamo nel centro diurno di Khulna e i bambini ci saltano addosso.
La fine di un'agonia.
Mattia
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