Ayan
Ayan ha forse cinque anni e noi lo chiamiamo il “Bulo” (il Bullo) perché si presenta dopo essersi lavato con una camicetta con il colletto tirato in su e con una specie di cresta. Ci tiene ad essere elegante, a modo suo. É a Noluakuri da poco più di un anno, viveva con la madre sulla ferrovia e facevano la carità, lui dice ridendo che insieme al suo amico rubava anche le angurie. E tu provi ad immaginarti questo cosetto di un metro che fugge con un’anguria tra le braccia. Le infinite potenzialità dei Tokai.
Ha iniziato ad allontanarsi e a perdersi ed è quindi entrato anche lui nella grande casa gialla, dove da anni si trova anche sia sorella.
Ayan si ricorda che a Febbraio, quando l’ho conosciuto, avevamo instituito il “goodnight biscut” quindi mi guarda dritto negli occhi e me lo ripropone con occhi furbi e seduttivi, io non so resistergli e acconsento. La mattina dopo mi salta in braccio e ci prova: “shubor shokal biscut?” (Biscotto del buongiorno?). E da lì ogni momento della giornata potrebbe essere celebrato con un biscotto, ma anche con una mela o perché no con un pezzo di pane. Sembra che abbia una fame che non si può mai colmare, sembra che leghi la richiesta di cibo alla coccola con cui lo riceve. Non so se avendo fatto la carità é abituato ad accumulare o se faccia riserve di cibo o se testi il potere dei suoi grandi occhi furbi.
Ayan ama cantare “oh martigiano portami viaaaaaa” usando una macchinina come microfono mentre salta sul divano. Nel momento in cui tutti studiano lui ripete numeri e alfabeto, ogni tanto si stufa e sgattaiola da noi, ma viene ripescato da Topon e torna in camera.
Ogni tanto si arrabbia perché è molto permaloso, tende a picchiare un po’ ma rispetto a Febbraio é migliorato: non nasconde più pezzi di bambù nei cassetti per averli pronti per picchiare i compagni di vita.
L’avrei portato con me in Italia ovviamente (in un esperimento mentale in cui non esistono frontiere e faccende burocratiche di vario tipo, ad esempio il Bangladesh non approva adozioni in paesi non musulmani) ma poi ci siamo chiesti e ce lo siamo chiesti spesso: dove finirebbero la sua vitalità e la sua libertà fuori dal grande giardino al limitare della foresta? Potrebbe essere sostenibile una vita fatta di sport, attività, prestazioni e agende? Ma è poi così sostenibile anche per i nostri di bambini?
Sicuramente gli gioverebbero pratiche di cura interamente dedicate, relazioni profonde e continuative, più adulti di riferimento significativi, ma lui sta facendo piccoli passi attraverso la comunità dei Tokai. Per questo continuiamo a credere nell’adozione delle comunità dei Tokai e non del singolo, perché sono grandi famiglie che crescono insieme e insieme si educano e nelle quali ognuno ha un ruolo significativo nei confronti degli altri.
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